Il ritorno del "Profeta"Ci
voleva una forte scossa per far uscire la Roma dalla mediocrità in cui
era caduta. E ci volevano nuove risorse economiche. Baldassacre capì
che non poteva garantirle e si dimise, lasciando il posto al senatore Restagno.
La prima mossa del nuovo presidente fu subito azzeccata. Dopo una breve trattativa
venne ingaggiato Fulvio Bernardini, che si era ritirato dal calcio per intraprendere
la carriera di giornalista. Ma "Fuffo" aveva la Roma nel sangue e
si gettò subito nella mischia. Da uomo ragionevole chiese però
tre anni di tempo per il varo di una "grande Roma". Volle rivoluzionare
la squadra con gli ingaggi di Bacci, Lucchesi, Merlin, Spartano, Tre Re, Zecca
e il giovanissimo Cardarelli. Bernardini, animato dal sacro fuoco, promise un
gioco nuovissimo. Che fosse un tecnico di grande levatura lo dimostrò
anni più tardi, vincendo lo scudetto con la Fiorentina e con il Bologna,
ma soprattutto costruendo due mirabili macchine di gioco. Ma le sue teorie avevano
bisogno di tempo e di mezzi finanziari per essere sostenute. In pratica, adottando
il sistema puro, Bernardini in termini di novità attuò la stessa
rivoluzione tattica compiuta più tardi dagli assertori della zona integrale.
Voleva un gioco più veloce, basato sull'anticipo. Rispetto al calcio
statico di allora teorizzò il passaggio negli spazi liberi, anziché
al compagno smarcato. Questo per invitare tutta la squadra a sviluppare un dinamismo
implicito nei movimenti di tutti. Nasceva con lui il calcio del futuro, ma i
tempi non erano maturi. Non erano maturi né i giornalisti (che ironizzarono
su quel passare la palla ...a nessuno) né i giocatori, che non erano
neppure dei grandi campioni. La Roma aveva vistp giusto con Bernardini, che
più tardi avrebbe meritato l'appellativo di "Profeta del calcio".
Ma proprio un vecchio detto romano ammonisce: «Nemo propheta in patria».
E così fu. Bernardini aveva visto giocare gli inglesi a Torino ed era
rimasto incantato dalla velocità dei loro movimenti e dei loro passaggi.
La nazionale, pur costruita sulla struttura di gioco del Grande Torino ne era
rimasta annientata. Il risultato di 0-4 aveva mortificato la nostra scuola calcistica
che deteneva ancora il titolo mondiale. Avevamo vinto nel 1934 a Roma, nel 1936
(a Berlino) e nel 1938 a Parigi. Tratto da La Roma una Leggenda Editrice il Parnaso
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